Irene di Alce Rossa
Io sono sicuro di averla traumatizzata, la povera Irene, quando all’Arsenale, durante il Festival dell’Handmade, le ho chiesto se era disponibile a parlarmi dei suoi lavori, disegni e incisioni. Anzi, sono quasi certo che sulle prime un coccolone le sia venuto, ma poi si è ripresa subito. E anzi, si è dichiarata disponibilissima a svelarmi (non tutti) i suoi segreti. E poi dicono che i giovani d’oggi sono diffidenti.
Devo dire, quando qualcuno mi apre le porte di casa sua, non so mai se sentirmi onorato o imbarazzato. O un mix salutare delle due cose. Dopo due minuti di convenevoli il clima di cortese timidezza si è squagliato e è iniziato il gossip, quello vero. Anche perché scopriamo di esserci laureati nello stesso corso di laurea, anche se a un paio d’anni di distanza.
«Le lingue mi sono servite tantissimo e continuano ancora» prende a raccontarmi Irene. «Dopo la triennale in Lingue per l’Editoria, mi sono iscritta alla Cignaroli e proprio grazie alle lingue ho potuto usufruire di tutti i tirocini all’estero che la scuola organizzava. Io di estero ero già un po’ pratica, con nove mesi in Estonia durante la triennale. Così sono volata a Manhattan e in Portogallo. Tornata in Italia ho frequentato l’Accademia a Venezia. L’ho terminata a giugno e nell’autunno 2014 mi sono messa in attività».
Il marchio di Irene, Alce Rossa (facebook, instagram), è quindi giovane, giovanissimo, ma già fortissimo. Senza dubbio grazie anche alla determinazione della sua ideatrice. Che mi confessa essere timida, ma che io inquadro subito come un rarissimo esemplare di timida determinata. E itinerante. Se vi tenete aggiornati consultando la pagina FB di Alce Rossa vi renderete conto dell’estrema mobilità di Irene. Torino, Milano, Brescia, Bergamo, Verona, Padova, Cremona e tutti i paesini che organizzano mercatini dell’handmade sono suoi. Praticamente: durante la settimana si rinchiude in casa a incidere, inchiostrare e stampare assieme al suo più fido collaboratore, Gugliemo, il suo torchio; nel finesettimana porta in giro le sue creazioni. Ah, quasi dimenticavo, è pure co-rappresentante regionale del Veneto per Alittlemarket. Rispetto.
E che creazioni! Lo ammetto, dopo aver visto alcune delle sue stampe, mi sono perdutamente innamorato del mondo che Irene disegna. Un mondo intriso di tenerezza, un pizzico di malinconia e una spruzzata di surreale. Il tutto condito con una robusta dose di dolcezza. I lavori di Irene sono magnetici per la poesia dei sentimenti semplici che esprimono. E qui la domanda sorge spontanea.
«Da dove prendi ispirazione per le tue stampe?»
«Un po’ dappertutto. La grande ispiratrice è la vita di tutti i giorni, portando fuori il cane capita che mi colpisca un gesto o una scena e che poi io la trasformi. Poi tutti i miei personaggi in qualche modo compaiono in più stampe. Seguono un’evoluzione, come tanti piccoli episodi di un mondo a parte. Alcuni li ho fatti incontrare tra loro, come il gatto e la volpe, altri sono in attesa. E altri ci sto pensando su».
Le faccio notare che le sue sono belle parole, parole d’artista.
«Preferisco considerarmi un’artigiana. Una stampatrice. Anche se un po’ più moderna e innovatrice. Utilizzo tecniche storiche d’incisione, ma con materiali e colori atossici, nel rispetto totale dell’ambiente».
«Altri aspetti per cui ti senti innovatrice?»
«Cerco di venire incontro alle esigenze dei clienti, delle persone che mi richiedono una stampa. Come da tradizione, le mie stampe sono tirate in numero limitato. Io di solito fisso il 100 come numero perché mi sembra una bella cifra tonda, ma la cosa non è automatica, ci sono delle varianti particolari che intervengono per ogni caso specifico. Se un cliente mi richiede una stampa in rosa o verde gliela faccio, la numerazione prosegue, ma il numero 56, per dire, sarà un pezzo unico e personale in una serie di stampe. Raggiunto il numero-traguardo le si biffa». A me questa disponibilità artistica mi fa nascere le mille e una idee da proporre, ma resto in silenzio. Mai interrompere un artigiano mentre parla del suo lavoro.
Anzi, Irene ha in serbo una sorpresa per me. Tira fuori i rulli e una matrice e mi dice che per spiegarmi la tecnica d’incisione, non c’è niente di meglio di una prova pratica. Sicché mi sono ritrovato a seguire i seguenti passaggi, guidato passo passo dalle pazienti indicazioni di Irene e monitorato dal suo occhio esperto.
Mentre armeggio con il rullo dell’inchiostro le domando da dove viene il nome Alce Rossa.
«Era il mio gioco preferito da piccola». Niente di filosofico insomma, pura genuinità.
A questo punto aspetto trepidante le nuove stampe targate Alce Rossa. E voi?
Irene (in arte Alce Rossa), sei stata confessata!
Ph. Credits: tutti i diritti delle immagini sono riservati ai profili Instagram e Facebook di Alce Rossa.
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